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11/10/2001
Considerazioni sull'attacco

Questa notte ho visto cose che non pensavo fossero possibili. Rai 3 ha mandato in onda un film-documentario dal titolo “Jung nella terra dei Mujaheddin”, che raccontava due anni di vita professionale degli uomini di Emergency in Afghanistan: il film era ambientato nella parte nord del paese, quella controllata dall’Alleanza del Nord per intendersi, durante la guerra civile che metteva di fronte i talebani, gli studenti coranici ora al potere, e i popoli del nord appunto.
L’ospedale, che dopo un paio d’anni di sforzi è stato ricostruito, era costituito da non più di tre stanzette, sporche e non attrezzate. Il dottore amputava le gambe dei feriti con una seghetta da metallo. Sempre la stessa. Hai mai sentito il rumore delle ossa umane tagliate da una sega? Hai mai visto il corpo di un bambino scuotersi al ritmo di quella sega? Hai mai visto un viso letteralmente mangiato da un tumore maligno? Hai mai sentito i lamenti di una bambina perché le stavano amputando una gamba con il minimo dell’anestesia?
Io non c’ero, ma ieri sera ho guardato la TV e quello che ho visto è stato la guerra. La guerra in un paese sfinito, povero, fatto di donne e uomini storditi da Allah, donne e uomini coraggiosi, pronti a dare le gambe e la vita per la propria terra, la propria povera, arida, ingrata terra di Allah.
Non avevo mai visto cose di quel tipo, la sofferenza di quelle persone e di quei dottori, i veri eroi dei nostri tempi. Dottori che lasciano il mondo patinato alla Terzilli a favore della polvere e delle carestie, delle guerre e della pietà.

Se avevo un dubbio sull’opportunità o meno di questa guerra, la guerra dei ricchi contro i poveri, ora non ne ho più. Questa è una guerra che deve finire, perché stiamo colpendo un popolo disperato e già distrutto. E’ di oggi la notizia della distruzione di una moschea di un villaggio di Touram. Basta così.
Operazioni di polizia internazionale, ma soprattutto riconoscimento delle ragioni di popoli mai considerati: i palestinesi prima di tutti, poi gli iracheni ed ancora i curdi, i ceceni e tutti quei cittadini che ci sforziamo di capire ma che non capiremo mai.

Questa guerra è un supplizio per coloro i quali lavorano da anni al fianco dei feriti e dei loro familiari.