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18/07/2002
Le parole dei genitori di Carlo Giuliani, un anno dopo.

Giuliano Giuliani dice che sabato la città si fermerà, nel minuto esatto della morte di suo figlio, un anno fa in piazza Alimonda. "Sarà un momento per stare tutti uniti. Alle 17,27 in punto, quando dal porto salirà il segnale. Suoneranno insieme le sirene di tutti i rimorchiatori. Noi invitiamo i genovesi e tutti quelli presenti in città a sedersi per terra, in qualunque punto si trovino. Per testimoniare l'unità intorno alla memoria di Carlo. Noi vogliamo che sia una festa del diritto alla vita, e di tutti i diritti negati, in Italia e nel mondo". Sabato loro saranno lì, in quella piazza dove sono tornati ogni 20 del mese. Ci sarà un corteo per le vie di Genova, ma loro non ci andranno. Hanno ordinato delle damigiane di vino: "Brinderemo a Carlo e alla vita". Ci sarà della musica, si leggeranno poesie.
Un anno dopo, Haidi e Giuliano Giuliani stanno sulla breccia reprimendo la tentazione di "scappare a piangere Carlo per conto nostro".
In questi dodici mesi hanno scelto di trasformarsi in militanti: perché la verità sulla morte del figlio non fosse annebbiata da ricostruzioni di comodo, per andare alla ricerca di quel loro ragazzo nella memoria e nei pensieri di tanti come lui, e anche per dire parole limpide a un movimento traumatizzato dal sangue di piazza Alimonda, dalla visione della violenza brutale dello Stato, dall'incredulità e dalla paura. Oggi, a quel movimento che come loro non è più lo stesso, rivolgono un appello: "Unità - dice Haidi - Sono mesi che continuo a chiedere unità, e che la si smetta coi particolarismi. Mica perché lo dico io, che non capisco niente. Ma questo non è un momento qualsiasi".
Stanno, tutti e due, di guardia nei sottoportici di Palazzo Ducale. Qui, negli spazi concessi dal Comune, ci sono centinaia di foto sui giorni del G8, si proiettano video, si tengono dibattiti. Nel cuore di quella che era l'inaccessibile e blindata "zona rossa". Una sorta di risarcimento, questo è ciò che si chiede ai giorni che verranno. "L'anno scorso - ricorda Haidi Giuliani - la bella mobilitazione è stata oscurata dalle nefandezze". E accusa: "C'è chi ha voluto usare le forze dell'ordine, che hanno accettato con piacere, per creare una situazione da dittatura, da paese autoritario. Sono stati tre giorni di fascismo. Qualcuno ha usato, e qualcuno si è fatto usare".
E sabato prossimo, invita, "ognuno esprima l'opposizione a quanto si è voluto far accadere un anno fa, e riprenda i discorsi che qualcuno ha cercato di cancellare". "Ognuno a modo suo - dice - In modo democratico e pacifico". E se ricordare Carlo può servire, allora si faccia: "Sarei stata molto felice di potermi andare a nascondere con mio figlio. Ma questo figlio unisce, e va bene parlare di lui. C'è un sacco di gente in questo Paese - siano cattolici, comunisti o senza collocazione politica - che ha voglia di stare insieme in maniera onesta e pulita. Certo non i fascisti, e nemmeno i berlusconiani". A lei piace Sergio Cofferati, che forse sabato verrà in piazza Alimonda: "Lo stanno a sentire perché dice cose chiare, perché è una persona limpida".
Piovono telefonate, richieste di interviste, grane organizzative da risolvere. Haidi e Giuliano battibeccano ("Lo facciamo da trentadue anni") perché sono fatti di paste diverse: lui, l'ex-sindacalista che conosce i modi e i pregi della mediazione, lei l'ex-maestra radicale e appassionata. Un anno fa, dopo qualche risentita ritrosia, hanno deciso che perché la memoria del loro ragazzo non fosse fagocitata, manomessa e stravolta, bisognava uscire di casa e combattere. Prima battaglia: che nessuno si appropriasse di Carlo. Haidi: "La paura c'è ancora". Giuliano: "Eccome. Tocca leggere di sedicenti black bloc, questa banda di deficienti, che cercano in maniera oscura di arruolare Carlo alla memoria". Lei: "Ci siamo esposti proprio perché tutti ci chiedono di Carlo. Questa è anche una violenza, in fondo. Solo lui potrebbe rispondere. Noi mettiamo insieme dei frammenti, per parlare di tutti i ragazzi come lui".
E Carlo, ricorda il padre, "fino alle 5 di quel pomeriggio è stato solo spettatore delle cose disgustose che accadevano qui a Genova". Ora racconta al presente, torna a rimettere in fila quei momenti come ha fatto mille volte. "Arriva al corteo, prende tre o quattro cariche indiscriminate. Reagisce. Certo tira un sasso". Haidi lo interrompe: "Anche più di uno". Giuliano continua: "Anche più di uno. C'è questa specie di piccola barricata in via Caffa. Si aggira. Poi si dice: perché ci fanno questo? E partecipa ad azioni di difesa, alla resistenza a quell'attacco vergognoso. Anche intorno a quella camionetta. Quando raccoglie l'estintore, ha visto la pistola del carabiniere. Vuole difendere gli altri e se stesso...".
Lei lo ferma: "Oggi forse non è tanto importante parlare di questo. Qualcuno ci accusa addirittura di usare nostro figlio. Rispondo: sì, per parlare di quelli come lui. Di quelli che non hanno diritti. Del ragazzo morto al suo primo giorno di lavoro. Dei ragazzi argentini uccisi dalla polizia. Dei dimenticati, degli ultimi". In questa militanza ci si sono ritrovati: "Ci hanno tirati per la manica. Noi non cerchiamo niente - dice ancora Haidi - Io soffro ogni volta che vedo la mia foto sui giornali. E anche Carlo sarebbe scappato, pur di non farsi prendere in questo meccanismo. Diciamo che il nostro è un servizio all'unità, e alla memoria". "Diciamo - dice lui - Che cercare Carlo ci ha fatto conoscere ancora di più il valore della solidarietà, dell'affetto, della condivisione, che conoscevamo già e che fanno parte della nostra storia. E ci ha dato conforto".
Un anno in trincea, anche per non lasciarsi andare. Haidi: "Più che un conforto, è stato un modo per affogarsi di lavoro. Se ti fermi, il male ti prende e ti porta via". Giuliano: "Sedici, diciotto ore al giorno. Ti resta solo qualche ora per dormire". Haidi: "Quando ci si riesce". Il comitato, il libro "Un anno senza Carlo", il film della Comencini, le serate pubbliche. Lei è andata anche a Porto Alegre, al Forum sociale mondiale. E poi il lavoro con gli avvocati, la ricostruzione fotogramma per fotogramma, ogni decimo di secondo di quegli ultimi minuti in piazza Alimonda. Ogni volta riguardare e sezionare quelle immagini tremende, che stanno anche qui sui muri della mostra al Palazzo Ducale. Carlo steso a terra, il fiotto di sangue dal suo zigomo sinistro come una fontana, lui schiacciato dalla camionetta, una volta e poi un'altra.
E sabato, che cosa sarà quel pomeriggio in piazza Alimonda? Risponde Giuliano: "Una ridda di emozioni. Ma dovrò rispondere a migliaia di parole si solidarietà, stringere migliaia di mani". E dopo? "Dopo i brindisi a Carlo e alla vita, torneremo a casa. Rivedremo la sua stanza, le cose sue. La terribile contrapposizione fra lui vivo, e lui vivo solo nel ricordo". Si passa una mano sul viso: "Una cosa devastante. Spero di crollare sul letto. E di ricominciare il giorno dopo"..